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costanzabiasibetti

Segnali dal passato e speranze per il futuro

Ieri ho spedito la mia domanda per una borsa di dottorato.

Non avrei mai pensato di dirlo né di farlo. Ho sempre relegato l’ambito della ricerca a settori di nicchia, a meccanismi microscopici ed elitari davvero difficili da comunicare, raccontare e, soprattutto, da vivere.

Il sapere accademico, quello troppo minuzioso, troppo dettagliato, troppo tutto, è sempre stato un nemico da combattere. Ma proprio l’altra mattina, mi è tornata alla mente la mia biblioteca universitaria. Quella al secondo piano di palazzo Liviano, lunga e stretta, con grandi tavoloni di legno avvolti da sconfinate librerie.


C’è stato un tempo, che mi sembra così lontano, in cui ho amato quel luogo con tutta me stessa. Era un rifugio, uno spazio in cui sognare, guardare fuori, lasciarsi pervadere dalla bellezza (non dal peso) del sapere. Un giorno, accompagnai mio papà in centro per una commissione e gli chiesi se volesse vedere dove studiassi. Non gli mostrai le aule, i cortili, i palazzi. Lo portai con me nella biblioteca al secondo piano di Palazzo Liviano.


L’anno successivo mi laureai e quello dopo ancora, pur continuando a studiare, iniziai i miei vagabondaggi e le contaminazioni lavorative. Sono tornata pochissime volte in quella biblioteca, che rimane tuttavia scolpita nella mia mente (anche quando il lunedì mattina dovevo prendere appunti con i guantini da sci perchè faceva troppo freddo).


Mi è tornata in mente qualche tempo fa, quando sono incappata per caso nella proposta di una borsa di dottorato molto particolare, che mirava (in soldoni) a creare un legame tra cultura, arte ed imprese del Triveneto.


Mi sono detta che se c’era un modo bello, un modo nuovo, di innovare la ricerca, impastandola alla terra, beh io avrei dovuto almeno tentare. Vi lascio questa lettera che ho scritto per motivare la mia richiesta di partecipazione (anche se non era richiesta).

Appena ho cliccato “invia” sulla casella di posta elettronica, ho risentito forte e chiaro il profumo della mia amata biblioteca.


“La mia prima settimana a New York è stata più emozionante di una corsa sulla Fury Road. Mi sembrava, improvvisamente, che le aziende mi dessero fiducia, spazio, tempo di movimento e di proposta. Non c’erano i tempi lenti, morti quasi, che fino ad allora avevo cercato in ogni modo di abbattere, in un lavoro delicato e costante con le aziende del Veneto. E’ difficile inserirsi in questi microcosmi, in cui gli equilibri sono perfetti, studiati e calcolati nel tempo con minuzia e perizia, scolpiti nelle radici delle famiglie e delle collaborazioni. Risposte immediate alle mail, fondi immediati per realizzare progetti: tutto era immediato, nella Grande Mela, forse troppo.

Aziende senza storia, le une copie delle altre, quasi automatiche nella loro semplicità e nel raggiungimento degli obiettivi: dopo qualche mese, New York mi sembrava piccola rispetto alla grande umanità del tessuto imprenditoriale italiano.

Così sono tornata. Per aiutare le imprese locali a raccontare il passato e soprattutto il futuro.

Desidero fortemente operare nella ricerca, capillare e costante, di tutti quei meccanismi di narrazione che riescano a schiudere, poco alla volta, i cancelli delle aziende del territorio. Meritano, le imprese e i cittadini, di conoscere la bellezza e il valore racchiuso tra i capannoni e gli uffici.”

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