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Capitolo 5 - I Misteri di Eleusi

Il custode delle api


Discesa

Persefone che non era Persefone fece il suo ingresso nella galleria. I lunghi capelli intrecciati di fiori ondeggiavano al suo avanzare, macchiando di nero la lunga veste bianca. Portava al braccio un cesto e ad ogni passo spostava lo sguardo, forse alla ricerca di fiori o di frutta (ma vedeva solamente le conchiglie incrostate alle pareti). Uno stereo nascosto da qualche parte attaccò un boato e l’americana illuminò di rosso Persefone che non era Persefone, il cui volto si rabbuiò in una smorfia di paura. Quindi cadde, rovesciando il cesto di fiori e lasciando che l’ombra di un uomo, imponente e massiccia, la coprisse con tutto il suo peso. Ade che non era Ade affondò il viso nella piega del collo, dove è più forte il profumo buono delle donne. Raccolse Persefone che non era Persefone fra le braccia e fuggì via, oltre le pareti incrostate di conchiglie.


Ricerca

Demetra che non era Demetra, madre di Persefone, irruppe nella sala delle conchiglie trafelata. Correva da una parte e dall’altra della stanza, chiamando per nome la figlia che era sparita dalla faccia della terra. Continuò ad urlare per un sacco di tempo, 9 minuti che erano davvero 9 minuti ma che rappresentavano i 9 giorni in cui la madre vagò per la terra alla ricerca della figlia. Poi entrò in scena un altro personaggio, una donna, Ecate che non era Ecate. Aveva sentito Persefone urlare, c’era un uomo - disse lei a Demetra - e quell’uomo se l’era portata via. Ma non era riuscita a vedere chi fosse, l’uomo. E a quel punto dello spettacolo un faro illuminava la scena, non più solo dove stavano i personaggi principali, ma anche dove stavano gli iniziati, con le loro maschere d’oro. E ovunque c’era bagliore riflesso. Quello voleva essere il sole, che parlò a Demetra come una voce fuori campo e disse: “è stato Ade!”

Tradita dalla sua stessa famiglia, Demetra che non era Demetra impazziva sulla scena, stracciandosi la veste e gettando in aria sacchi di semi e strappando piante e fiori che stavano in un'aiuola al centro della sala. “La terra non fiorirà mai più” - sbraitò. E il sole si spense, e venne il racconto della carestia.


Ascesa

La rappresentazione ricominciava su un soppalco, da cui Ermes che non era Ermes, messaggero degli dei, sembrava volare fino a giù, nel mondo degli inferi. E lì le parole non si udivano, perché una musica vibrante e potentissima le copriva e più che un ordine di Zeus, il tutto parve un sussurro. Ade che non era Ade accolse con un ghigno l’obbligo di rimandare l’amata Persefone sulla terra, disse: “certo, se questo è il volere del re degli dei” e lanciava alla fanciulla una melagrana matura. La sala delle conchiglie si accese di luce magenta mentre Persefone ingoiava un chicco brillante di quella melagrana. Disse lei: “mi sento molto strana” e rispose Ade: “lo so, perché ora sei anche tu parte dell’inferno, gli appartieni e lui appartiene a te, sei la mia regina, dovrai tornare”. Ade che non era Ade rideva e Persefone che non era Persefone piangeva, correndo via, verso il tempio di Eleusi, di ritorno dalla madre, di ritorno sulla terra.

Il tempio venne proiettato sulla parete di fondo della sala, e Demetra vi comparve davanti, a braccia aperte, accogliendo Persefone che ora portava una veste magenta. Si abbracciarono, a lungo, nel silenzio. Attorno a loro, delle maschere vestite di nero sistemavano fiori, piante, alberi in giro per la sala. Lanciavano petali, appendevano grappoli d’uva a fili metallici e accendevano candele. Era il ritorno alla vita, la fine della carestia, la gioia della madre che ritrovava la figlia.

La scena fu aperta, allora, a tutti i partecipanti al rito: uomini e donne con le maschere d’oro iniziarono a danzare, a strappare acini d’uva e a versare vino sui calici traballanti.


La festa proseguì per dieci giorni. Mentre ad Adriano e Regina era stato permesso di assistere alla sacra rappresentazione, venne loro vietato di partecipare agli altri riti. Avevano alcune stanze tutte per loro, dalle quali vedevano passare caprette belanti, vasche di ceramica con le zampe, uomini e donne mascherati, a volte nudi, a volte nudi con solo la maschera addosso. Paola detestava quel momento dell’anno con tutte le sue forze. Tutta quella pazzia cozzava contro la sua razionalità. Invece Syraz osservava i movimenti di quella setta elegante e sussurrò: “anche io ne farei parte, se mi volessero. Reg, credi che Eustachi mi farebbe entrare?” Regina alzò un sopracciglio.

Al termine di ogni rito (che non aveva una vera e propria scaletta, quando finiva, finiva), le Api entravano nella sala vuota e la riportavano esattamente alla situazione di partenza. Dovevano solo cancellare ciò che era stato, e far finta di non sentire le urla, le musiche, le formule magiche come mantra, gli amplessi, i sacrifici.














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