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costanzabiasibetti

Capitolo 2 - Cancellare il passato

Il custode delle api


Cesare Ponti, il figlio più piccolo di Mario Ponti, fondatore di un colosso dell’arredamento, aspettava Adriano Cantoni seduto sul marciapiede. Dal padre, non aveva ereditato l’eleganza e forse neppure la lungimiranza, ma eseguiva i suoi ordini come se fosse stato un prolungamento del suo braccio, mentre Mario godeva poco degnamente una pensione in malattia, rinchiuso nel suo appartamento milanese, tormentato dagli spettri.

- Cazzo, stavolta deve essere uno grosso se vi servono proprio quelle coppe.

Buttò la sigaretta sull’asfalto senza pestarla e fece segno ad Adriano di seguirlo, aprendo con una spinta la grande porta del retrobottega. Il magazzino Ponti sembrava piuttosto un museo: file ordinatissime di scatole sembravano i tasti del pianoforte di Dio, alto fino al soffitto.

- Te li ho già preparati. Reg mi ha detto che passerà domani per il pagamento. Sono settemila. Come solito.

- Certo - sussurrò Adriano Cantoni, accogliendo tra le braccia come un cucciolo la scatola che conteneva le coppe mancanti.

- E’ un prodotto straordinario - continuò Ponti - di fattura francese. Ne ruppi una, una volta, facendo l’inventario. Papà mi rivoltò la faccia. Ti va una sigaretta prima di tornare dalle api?

Adriano Cantoni non aveva mai detto di no in vita sua ad una sigaretta. Bisogna dire che non diceva spesso no neppure a tutte le altre cose.


La sigaretta scenerò sulla giacca. Adriano non se ne preoccupò più di tanto, quella era la divisa da apicoltore e poteva correre il rischio di macchiarla. Salutò Cesare frettolosamente, bloccando il discorso a macchinetta che il giovane aveva iniziato e di cui Adriano non aveva udito una sola parola.

Parcheggiò l’auto in una via privata, poco lontano dalla piazza del mercato. Raggiunse in fretta il banco e ritirò la “cosa” richiesta da Consuelo. Scelse di rientrare facendo il giro lungo, dalla parte opposta del mercato circolare da cui era venuto.

Il profumo intenso delle arance lo pervase.

Gli erano sempre piaciuti, i mercati. Il vociare incomprensibile, le urla delle gente come note distorte lanciate su un pentagramma, senza alcun controllo.

Estrasse dalla tasca dei pantaloni la lista della spesa che le api gli avevano lasciato sul tavolo quella mattina. Mentalmente evidenziò tutte le voci che avrebbe potuto trovare al mercato: detersivi, erbe aromatiche, pane, zucchero, uova, frutta e verdura. Patate era sottolineato tre volte, un codice segreto per ricordarne la quantità.

Barrate tutte le voci richieste, Adriano si riavviò all’auto, carico di spesa. Aggiunse di sua volontà due bottiglie di Passito e una confezione di capperi che acquistò da un mercante di Pantelleria, l’unico uomo talmente abbronzato da confondersi con il cotto dei mattoni alle sue spalle.

- Ehi Siri, chiama Regina.

- Chiamo Regina - rispose la voce metallica.

Un solo squillo. Mentre era sul lavoro, la Regina delle api rispondeva all’istante, per qualsiasi emergenza.

- Dimmi - sussurrò.

- Fatto tutto. Ho le coppe.

- Perfetto. Qui stiamo ultimando. Ti aspettiamo e poi ce ne andiamo.


“Ultimare” significava per Regina che era arrivato il momento di entrare in azione. Fino ad allora, aveva supervisionato, controllato, supportato, dato svariati ordini, fumato otto sigarette. Ora era il suo momento. Le api avevano concluso il loro: Cons era già seduta al posto di guida del furgone, Marina stava caricando i sacchi di plastica neri oltre il portellone. Forse è più corretto dire che li stesse lanciando.

Regina e Paola partirono dalla stanza da letto e, Ipad alla mano, passarono in rassegna ogni angolo del palazzo. Tutto doveva essere come nelle foto che avevano davanti: la posizione dei cuscini, la piega delle tende, persino l’inclinazione del picciolo della mela sul tavolo da pranzo.

Regina girava con un metro da sarta per riportare tutto nella stessa posizione, come se il ballo della sera prima non fosse mai accaduto. Questo era il lavoro delle api: cancellare il passato, distruggerne le tracce, riportare l’equilibrio.

Dopo aver controllato l’ultimo bagno, tornò all’entrata con Paola e si chiuse la porta alle spalle. Strappò via con la precisione di un’estetista lo scotch carta dalla targhetta del campanello. Si chiese perché continuasse a metterla, dopo tutti quegli anni di lavoro. Si rispose da sola che la fiducia non è mai abbastanza e che la classe non è acqua.


Adriano era arrivato poco prima. Regina non disse nulla, gli prese dalle mani lo scatolone con le coppe e si assicurò che arrivasse in cucina. Poi uscì e si accomodò sul sedile accanto a Consuelo.

- Ottimo lavoro, api. Torniamo all’alveare.

- Grazie a Dio, Reg. Mi ero quasi abituata a vivere in questo postaccio lussuoso, proprio non ce la facevo più.

Le ragazze risero di gusto, aprendo le danze a tutte le chiacchiere che erano state loro negate fino a quel momento.











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