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Capitolo 5 - Il bosco

Anche le Stelle bevono Birra

Liberamente tratto dall’esperienza di Giovanna Zangrandi.


Capitolo 5

Il bosco


Capitolo 5

Il bosco


Il sentiero si inerpicava ripido per un bosco di conifere sempreverdi. Alice camminava piano e respirando a fondo, non era abituata a quel genere di sforzi fisici e neppure al paesaggio silenzioso che la avvolgeva.

Il Tigre camminava davanti a lei, rispettando la sua andatura e fermandosi spesso. Estraeva dalla tasca della camicia una tabacchiera di metallo e girava sigarette a mano, chiudendole tra le labbra con la saliva.

“Posso parlare o ti do fastidio?”

“Non ti ho mai detto che non potevi parlare” - rispose il Tigre.


“Ti chiami Tigre per davvero?”

“No, chiaramente”.

“E come ti chiami per davvero?”

“Non l’ho mai detto neppure a tuo padre. Tu che fai in Inghilterra?”

“Lavoro in un birrificio, mi occupo della logistica e un po’ di tutto quello che c’è da fare. In realtà me ne occupavo, mi sono licenziata prima di venire qui.”

“E perchè l’hai fatto?”

“Vuoi la verità? Non credo di saperlo nemmeno io. Lavoravo in quel posto - (Alice sbuffò per il fiato corto cercando di inspirare più aria possibile) - da 8 anni e boh, forse non avevo più nulla da dargli. Ho preso il colpo. Papà mi aveva scritto tante volte di lasciarlo e di fare altro. Diceva che nella vita…”

“...bisogna sempre cambiare sul più bello, prima di stancarsi troppo o prima di cedere”.

“Allora l’hai conosciuto per davvero!”

Il Tigre rise, espirando una boccata di fumo.


“Cosa fai quando non sei un maestro di sci?”

“Giro” - il Tigre riprese il cammino, saltando una radice.

“E dove giri? Giri le montagne? Ti gira la testa?”

“Giro il mondo. Mi piace viaggiare. Sono tornato il mese scorso dalla Birmania. Mi ha fatto piacere riuscire a salutare tuo padre. L’avevo conosciuto in viaggio, in Nepal per la precisione.”

“E hai imparato in Nepal a parlare inglese come un inglese?”


Michele Dal Farra era un personaggio illustre nel suo campo. Viaggiava spesso e portava con sè i clienti (o i pazienti, che dir si voglia) per aiutarli a ritrovare equilibrio e pace nella loro vita. Il viaggio - diceva - era una fase essenziale della rinascita.

Aveva un target decisamente vario: manager falliti in cerca di nuovi obiettivi, divorziati che volevano ricostruirsi il futuro, genitori che avevano perso i figli o che non potevano averne.

Lui si definiva un “coach”. Come le stelle, rispondeva semplicemente alle domande che gli uomini trovavano il coraggio di porre. Non a lui, nè al cielo, ma a loro stessi.

La madre di Alice, Prue, borbottava ogni volta che a casa arrivava una foto o una cartolina da qualche angolo di mondo. “L’ho capito subito, io, che quell’italiano non poteva che essere un fanfarone, un trafficante di qualcosa. Oppure si sposta di qua e di là e fa piccoli lavori ovunque. Oppure è una spia.”

Procedeva con le sue congetture per giorni, uscendosene con ipotesi sempre più cinematografiche via via che il tempo passava. Come si può chiedere ad un’infermiera che non è mai uscita dall’Inghilterra e che da 36 anni fa lo stesso tragitto ogni singolo giorno di capire la scelta di vita di un uomo che non vuole, per nessuna ragione al mondo, fare dei suoi giorni una serie di abitudini codificate?

“Come si sarebbe guadagnato da vivere? Vivrà sulle spalle di sua madre, in Italia”.

Prue si era sempre categoricamente rifiutata di portare Alice in Italia, o di lasciarla andare da sola. Così alla fine, Michele si era rassegnato. Non aveva mai parlato molto della sua famiglia.

Alice si pentì di non avergli mai chiesto nulla a riguardo.

Aveva sempre dato per scontato che fosse una persona sola, ma viaggiare molto non significa per forza essere soli.


“La vedi lassù, quella forcella? Il rifugio è subito dietro quello sperone di roccia”.

Il Tigre aveva atteso finché Alice non lo aveva raggiunto su un masso del sentiero. Poi aveva alzato un braccio ed indicato come in una proiezione il loro punto di arrivo, intersecando lo sguardo di Alice.

“Oddio” - commentò lei, che sperava realmente di essere arrivata dopo due ore di cammino.

Il respiro le si mozzava nella gola e continuava a maledire in inglese tutte le birre che si era concessa a fine lavoro e che avevano inevitabilmente diminuito il fiato.

“Corro ogni giorno a Leeds, anche quando piove” - sussurrò affaticata - “perché mi sembra di non aver mai corso un giorno della mia vita?”

“In montagna l’allenamento conta fino a un certo punto. Ho visto calciatori affaticati per molto meno dislivello. La montagna è diversa da qualsiasi altra attività sportiva, non c’entra la corsa. Qui è tutta questione di mente. Chiudi il cervello. Fissa la forcella.

Fai finta di non avere le gambe. E nemmeno i polmoni”.







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