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Capitolo 20 - Gli appunti

Anche le Stelle bevono Birra

Liberamente tratto dall’esperienza di Giovanna Zangrandi.

In dolce memoria di Marta Gori.




Capitolo 20

Gli appunti


La fine d’agosto portò con sé le prime piogge autunnali che l’estate, stranamente soleggiata, aveva quasi fatto dimenticare. Il ticchettio sui vetri del rifugio ricordò ad Alice il sottofondo ritmato che a Leeds accompagnava la maggior parte delle sue giornate. Ma l’odore, il profumo dell’erba impregnata e di legno, le provarono chiaramente che si trovava ora decisamente lontana dallo Yorkshire.

Miki e Ralf, con la camicia punteggiata di pioggia, spalancarono la porta con aria trionfante: “Alice, ce l’abbiamo fatta! E’ venuta bene!”

Era vero.


Dopo aver ricostruito il magazzino, mezzo rifugio e l’intera zona del birrificio in primavera, gli ultimi mesi erano stati dedicati praticamente solo alla creazione delle birre. Avevano seguito scrupolosamente gli appunti sparpagliati che il Tigre aveva lasciato in laboratorio, almeno quelli che erano riusciti a salvare dalla tempesta, mettendoli ad asciugare su un filo accanto alla stube come fazzoletti.

I tentativi si erano succeduti l’uno dopo l’altro con risultati altalenanti e mai pienamente soddisfacenti, anche se in via di miglioramento costante.

Se tutto fosse andato per il meglio, per l’apertura dell’8 dicembre avrebbero proposto alla clientela 3 birre originali, create ad alta quota con le loro mani.


Non è che non ci credesse per davvero, ma avere un piano B era una specie di fissa per Alice. Dopo la tempesta, aveva impiegato nella ricostruzione tutte le sue energie fisiche e mentali. Il progetto iniziale si era arricchito di nuovi impianti di sicurezza e di efficientamento energetico, che permettevano al rifugio e al birrificio di essere totalmente autonomi senza ricorrere a fonti esterne. Pioggia, vento, calore della terra: con le giuste consulenze, aveva imparato a farsi amica la natura che la circondava. Ogni suo aspetto non era più una debolezza, ma una forza. Era questa la falla nel piano: aveva considerato il birrificio debole perchè sorgeva in una zona impervia.

Ma aveva sbagliato.

Sarebbe stato un birrificio potente perché sorgeva in una zona impervia, a pieno contatto con la natura.


La nuova previdente imprenditrice Alice Dal Farra si era quindi mossa anche su un fronte differente che aveva definito “di salvataggio”, nel caso gli esperimenti con la birra non fossero andati a buon fine. Aveva fatto colloqui a diversi mastri birrai di indubbio talento, ma non riusciva a decidersi. E sapeva anche perché.

Aveva ristretto le birre in preparazione a tre, di stili diversi, ma uniche. Aderivano perfettamente alle ricette del Tigre. Su questo, Alice, era stata categorica.

Per tutte le altre che avrebbero offerto alla clientela, aveva pensato alle birre di Myke.

E a quelle dei loro principali rivali scozzesi, il birrificio The Black Duck.

E a quelle americane della Viking Beer.

Passava ore a telefono con i migliori birrifici del mondo che non aveva faticato molto a scovare grazie al suo professionale. Il mercoledì precedente, giorno di consegna, erano iniziate ad arrivare le prime forniture in lattina, bottiglia e barile per spina.

Il sogno di Alice era cambiato, si era arricchito.

Di altri sogni. Di altre persone.


“Bravi, ragazzi. Questa è venuta bene davvero”.

Alice provò tra le labbra la consistenza della schiuma. Il miele la rendeva dolce, il mugo ne contrastava gli eccessi. Era buona. Non eccezionale, di strada ne avevano ancora molta da fare, ma buona. Pulita. Non stomachevole.

Ma lo stesso un sorso finì sul pavimento di legno insieme al boccale di vetro, che si infranse a con uno scroscio di vetri.

“Il farabutto è tornato.”


Miki lanciò un’occhiata alla finestra.

Un uomo stava risalendo il campo rosso, senza ombrello, senza mantella. Lasciava che l’acqua gli colasse tra i capelli biondi, sulla barba, sulla camicia.

All’altezza della vasca botte, l’uomo si fermò.

Alice non aveva voluto per nessuna ragione distruggerla, per questo l’aveva riempita di terra e ci aveva piantato dei mughi.


Gli austriaci pensavano che Alice si fosse catapultata fuori, incontro al Tigre che avanzava verso il rifugio. Ma invece era corsa su dalle scale e si era chiusa nella sua stanza.

“Non vuole vedermi, eh?”

Ralf fece spallucce stringendo le labbra sotto la barba, poi sorrise al Tigre dandogli una pacca. “Ce n’è voluto di tempo, amico. I tuoi appunti sembravano scritti in arabo”.

“E’ lei?”

“L’abbiamo dovuta rivisitare, questo è il tentativo numero 78.”

Il Tigre assaggiò la birra.

“Ho sempre pensato foste bravi. Ma non così tanto” - aggiunse solamente.


Alice non scese a cena e neppure a colazione, il giorno seguente.

Il Tigre allora prese lo zaino e se ne andò in magazzino.

“Ragazzi, se dite riprendo da dove ho lasciato…”

“Grazie a Dio, Tigre.”

Da allora, un nuovo regolamento vigeva al rifugio: o si mangiava con l’uno o con l’altra. Quando il Tigre era fuori, Alice era dentro.

E viceversa.


Solo le stelle, la sera, avevano il permesso di contemplarle insieme.

Ma lei dalla panchina, fuori dal rifugio, e lui dal campo rosso.







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