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Capitolo 16 - La Tigre

Anche le Stelle bevono Birra

Liberamente tratto dall’esperienza di Giovanna Zangrandi.

In dolce memoria di Marta Gori.




Capitolo 16

La tigre


Andiamo, Alice, ma come fa a piacerti quel tipo?

Sono giorni che ti segue come un’ombra indiscreta, sta dalla parte sbagliata, non alla tue spalle, ma tra te e il sole. Sembra del tutto incapace di capire che è fuori posto, non ha niente a che spartire con la tua anima bella, con la tua nuova vita, qui, con i tuoi sogni.


L’ho visto sai, domenica. Ti stava raccontando di quando ha deciso di prendersi ferie al tuo vecchio birrificio per raggiungerti. Lui non te l’ha detto, ma l’hanno fatto i suoi occhi: voleva provare il piacere del brivido, vederti sussultare come in effetti è accaduto perchè a voi donne basta un nobile insignificante gesto d’amore e vi commuovete.

Non capite più niente.

E’ come tirare un sasso su una vetrata: non puoi sapere quanto grande sarà il buco, ma un buco verrà fuori, puoi starne certo.

Da quando Wes è arrivato, è come se il nostro tempo accanto alla stube o a vedere le stelle fosse solo un ricordo di millenni fa, un’altra incisione sul legno di una stanza dimenticata.

Mi piaceva, sai. Era diventato il momento più bello della giornata perché non dovevo più fingere di essere qualcun altro, non dovevo più fingere di non amarti un pochino.


Non fraintendermi, il Tigre è quello che sono.

Giorgio non esiste più da molti anni.

Ho capito che nelle stelle c’è scritto solo chi o cosa devi diventare, per tutti gli altri se, come e perché bisogna arrangiarsi.

Ho capito chi voglio diventare, per il resto ancora mi sto attrezzando.

Il peso del passato mi schiaccia ancora, sai. Quando tu te ne vai a letto e chiudi la porta della camera e la fai schioccare col piede come se fosse un sasso da calciare avanti, più in là, io scendo giù di nuovo e mi siedo sulla nostra panchina.

E’ nostra, oramai, c’è la piega dei nostri culi e della gamba su cui ti siedi sempre. E’ come se ti permettesse di stare dritta, come una piccola estensione di te. Mi siedo lì dove ti siedi tu e guardo in alto.


Cerco le costellazioni che ho visto in Birmania. Sono diverse lì dalle nostre in Europa, e non solo per lo spazio che ci separa. Lì il cielo è come una foresta e il tempo si scandisce in ruggiti e sussurri. Gli astrologi antichi divisero la sfera celeste in ventotto sezioni, o case lunari, ed assegnarono a ciascuna di esse una stella fissa. Poi distribuirono le sezioni in Quattro Palazzi Celesti, come le stagioni dell’anno. Ogni palazzo prese il nome della costellazione più grande. Quello dell’autunno, appollaiato sulle fondamenta stellari delle Pleiadi, è il palazzo della Tigre bianca.


Quando mi chiedi delle stelle, provo a dirti quello che tuo padre diceva a me.

Ma un poco alla volta, perchè ogni storia, diceva lui, “ha bisogno del suo tempo sotto il cielo”.

La leggenda narra che quando una tigre raggiungeva i 500 anni di età la sua coda prendeva una colorazione bianca. Si diceva che la tigre bianca sarebbe apparsa solo quando l'imperatore avesse stabilito un regno di pace assoluta. Fu così che divenne la guardiana.


“Anche tu sarai un guardiano un giorno” - mi aveva detto tuo padre.

Ed io risposi: “Ma a cosa farò la guardia che non so badare neppure a me stesso?”


Adesso lo so a cosa dovevo fare la guardia, a cosa devo fare la guardia.

Devo essere il tuo guardiano, Alice, il guardiano dei tuoi sogni, di questo folle birrificio di montagna.


Davvero, non avrei voluto minacciarlo, quel Wes.

Ma lui mi provoca, in continuazione. Ti sfiora e io non posso sopportare che ti sfiori.

Non riesco a guardarvi, vorrei cavarmi gli occhi.

Ma gli occhi mi servono, davvero mi servono, e così ho deciso di muovere la mani e di costruire qualcosa per te. Qualcosa per noi.

Perchè i guardiani credo servano a questo. A costruire palazzi.

Ecco quello che ho costruito per te non è tanto un palazzo, è più una vasca. Una vasca a botte. L’acqua scaldata a fuoco si mantiene in temperatura per ore, l’ho studiata come se fosse una birra, nei minimi dettagli.

Volevo che le stelle si riflettessero da qualche parte. E ho pensato che nell’acqua potevamo berle, le stelle, o magari annegarci insieme (alle stelle).

E l’ho finita, sono riuscito a finirla appena in tempo, prima della tempesta.


Ma la tempesta, quella vera, è arrivata in anticipo.

Sono corso a chiamarti. Eri in cucina.

E c’eri tu.

E c’era lui.

E lui ti baciava.

E io non potevo guardarti. Nè essere il tuo guardiano.


Se non mi troverai, Alice, se troverai la mia stanza vuota, è per questo.

Per la tempesta.

Sono sceso a valle di corsa, con la neve sciolta sotto i piedi, mentre gocce fredde di pioggia mi bagnavano la faccia come lacrime.



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