top of page
costanzabiasibetti

Capitolo 15 - La costellazione delle dodici birre

Anche le Stelle bevono Birra

Liberamente tratto dall’esperienza di Giovanna Zangrandi.

In dolce memoria di Marta Gori.




Capitolo 15

La costellazione delle dodici birre


Quando lo vide scendere dalla jeep dell’architetto, Alice si chiese come avesse fatto ad arrivare fin lì senza alcuna indicazione da parte sua.

Wes aveva sempre avuto uno spiccato istinto investigativo: quando stavano insieme, per Natale, i suoi regali erano sempre stupefacenti. Sapeva decifrare uno sguardo alla vetrina giusta o un desiderio solamente immaginato. Ed ora era lì, al rifugio.


Parlava un italiano instabile, da bambino, imparato sulle app che si ascoltano in auto nei lunghi tragitti. Forse l’aveva imparato in aereo, mentre la raggiungeva.

Erano passate non più di due settimane dalla mail in cui Alice richiedeva il suo aiuto per sviluppare il marketing del birrificio d’alta quota. Wes le aveva già inviato diverse liste di domande per inquadrare il prodotto, cui Alice non aveva avuto tempo di rispondere.

In realtà, non aveva risposto volontariamente. Si era pentita esattamente dieci secondi dopo aver cliccato invio alla sua prima richiesta rivolta all’ex fidanzato.

Lui non si era arreso, Wes non si arrendeva mai.

Era essenzialmente questo il motivo per cui la loro storia era appassita, era scivolata via dalle mani di entrambi: lui continuava a sognare una donna (o una vita) che non era Alice, non le apparteneva, non le sarebbe mai appartenuta.

Era finita anche per un altro piccolo cavillo amoroso: Alice aveva sorpreso Wes a letto con Jenny Milanda, una pr messicana conosciuta alla fiera della birra di Amsterdam. Vanesia, affascinante, magra come un’acciuga e amante dei party in discoteca. La storiella era finita nel giro di qualche mese, Alice l’aveva perdonato (perlomeno a parole) ma Wes non era più tornato tra le sue braccia. Non completamente.

Ma adesso era lì. E stava chiedendo di lei a Ralf.


Alice scese caracollando le scale dal secondo piano, dove stava rivedendo la lista delle prime forniture per l’estate. Se lo trovò lì, sullo zerbino. Portava un parka a quadroni e una lunga sciarpa di lana, il primo (e unico) esperimento di Alice con il lavoro a ferri, abbandonato qualche giorno dopo il Natale di quattro anni prima per inettitudine.


“Ma che ci fai qui?” - Alice non sapeva se abbracciarlo o stringergli la mano. Nel dubbio, stava lì impalata sulla porta con una penna e un plico di fogli in mano.

“Non avevi bisogno di un marketer?” - fu Wes a fare il primo passo, lasciò l’impugnatura del trolley e prese Alice tra le braccia.


Il Tigre rientrò al rifugio nel pomeriggio. Era andato fino a Belluno, partendo all’alba, per fare alcune ricerche, in attesa che la stagione permettesse l’installazione del wi-fi anche al rifugio. Dopo qualche telefonata ai vecchi compagni del phd e portando con sé diversi tomi che si era fatto arrivare dall’archivio del politecnico, aveva ora le idee decisamente più chiare sulla propria missione.


Il mastro birraio che aveva accettato di diventare non era secondo lui né un poeta né un inventore. Era un chimico, uno scienziato che sapesse miscelare sapori, aromi, profumi non secondo una legge precisa, ma secondo le leggi dell’anima.

E le leggi dell’anima, il Tigre, le aveva conosciute in viaggio, a piedi tra i boschi, nei rituali degli sciamani del Nepal, negli sguardi dei bambini Indiani, nelle parole salvifiche di Michele Dal Farra, l’uomo che gli aveva ridato la vita.

Non era certo che Alice avesse idea di quanto suo padre fosse stato importante per lui. Non lo avrebbe mai saputo. Ma il Tigre avrebbe restituito il dono al sangue Dal Farra, facendo tutto ciò che era in suo potere per realizzare il sogno di Alice.


Non le aveva presentato il suo progetto nel complesso, voleva che fosse una sorpresa.

Stava sviluppando un catalogo di 12 birre, tra le classiche e le aromatizzate. Ogni birra avrebbe avuto il nome di una costellazione e il suo gusto sarebbe nato da una storia, dai miti antichi che Michele Dal Farra amava raccontare e dagli elementi naturali della montagna.

Il Tigre voleva che non fossero semplici birre, ma elisir in grado di elevare l’anima, di farla viaggiare come su un veliero, di andare su, verso l’alto, fino alle stelle.

Andromeda era una birra di frumento color oro, come i capelli della figlia di Zeus: profumava di chiodi di garofano, erbe di montagna e arance candite; il candore della costellazione del Cigno era diventato invece una blanche chiara, opalescente, aromatizzata al miele di mugo.

Il Tigre aveva considerato ogni elemento, scegliendo personalmente i luppoli, il grano, l’orzo e l’avena da coltivazioni biologiche che era andato a vedere con i suoi occhi. Riteneva che la differenza tra una birra buona e una mediocre fosse l’attenzione, la cura, lo sguardo.


Quello che vide, rientrato al rifugio, non gli piacque per niente.

Chi era quel bellimbusto inglese che se la rideva con Alice?




35 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page