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Capitolo 13 - Due paia di vecchi sci

Anche le Stelle bevono Birra

Liberamente tratto dall’esperienza di Giovanna Zangrandi.

In dolce memoria di Marta Gori.





Capitolo 13

Due paia di vecchi sci


I topi di montagna, in cinque anni di chiusura, avevano fatto del rifugio la loro dependance invernale. Alla fine dell’autunno si sentivano solamente vaghi squittii provenire dal soffitto e dalle pareti, ma dopo Natale si intensificarono e Miki e Ralf passavano ore a cercare di stanarli progettando trappole rudimentali con vischio e pezzetti di formaggio di malga.


Alice divideva il suo tempo tra la progettazione del birrificio e il restauro del rifugio, che avrebbe dovuto essere perfettamente a norma entro sei mesi, per la grande apertura di dicembre. Così, quando aveva gli occhi troppo stanchi per soffermarsi su numeri ed elenchi, si dedicava ad esaminare con cura i ninnoli di ogni stanza: quadri, parure d’asciugamani, libri, lampade, oggetti smarriti dei vecchi turisti. Prendeva in mano ogni cosa, la spolverava e poi decideva che farne. I criteri di selezione erano puramente istintivi e casuali: “questo mi piace”, “questo puzza”, “questo mi ricorda quel libro che ho letto”.


Tutti gli oggetti salvati dal repulisti, trovavano spazio in una credenza di legno accanto alle scale.

Alice, giudice decisamente parziale, aveva finora donato la grazia ad un orologio a cucù con un uccellino impagliato, a tutte le decorazioni di vetro dell’albero di Natale eccetto le statuine di terracotta (“mi sembrano tutte così grasse - aveva detto fissandole quasi schifata), alle bibbie e a tutti i libri che aveva recuperato nei cassetti dei comodini e dalle mensole delle stanze. Molti erano di certo appartenuti a suo padre, c’erano molti manuali sull’astrologia, sulla psicanalisi e sulla storia del cosmo.

La soffitta offrì le sorprese più emozionanti: innanzitutto il regno casalingo dei topi di montagna, rapidamente distrutto da Miki e Ralf che scesero inneggiando come vichinghi vincitori, e poi tutte le cose che erano state considerate “ingombranti”. Alice rinvenne bauli, case di bambole, un pianoforte a parete e una fisarmonica, montagne di ciaspole, ramponi e moschettoni per scalate, vecchi vinili, lampadine scheggiate.


Giunse in cucina ricoperta di polvere una mattina di Febbraio. Aveva gli occhi che scintillavano, tra le braccia due paia di vecchi sci.

Il Tigre sollevò lo sguardo dai suoi appunti sulla bollitura, la fissò e poi, con un ghigno, tornò sul blocco. “No, non ti porto a sciare.”

“Eddai, non l’ho mai fatto, oggi c’è il sole e la neve è splendida!”

“Devo assolutamente andare avanti qui altrimenti il tizio della bollitura potrebbe uccidermi”.

“Anche io potrei ucciderti se non mi insegni a sciare”.

Fare finta di niente non si rivelò una mossa saggia: Alice si mise a fissarlo imperterrita in silenzio e non smise finché il Tigre non scagliò la penna oltre il tavolo.

“Va bene, hai vinto. Ma non dirmi che non ti avevo avvisato”.


Il Tigre aveva offerto ad Alice i suoi sci. Erano verdi fluorescenti, corti e larghi, con la coda di rondine sul retro. “Con questi ti sarà tutto più semplice”.

“No, io voglio imparare a sciare su questi, sugli sci vecchio stile. Non su quei cosi color alieno”.

“Sei impossibile” - ribatté lui, afferrando la seconda coppia di sci di legno e gettandoli per terra, sulla neve farinosa. Era effettivamente la neve più bella che ricordasse da molto tempo.

“Ok, e adesso?”

Alice si era fatta mandare da Cortina diversi capi tecnici da montagna, ma a loro preferiva comunque pesantissimi maglioni di lana che la rendevano decisamente goffa. Se ne stava lì, sul campo rosso, tutta accucciata per trovare una specie di equilibrio tutto suo su quegli sci lunghi e stretti. Era buffa, e tenera, nel suo smodato desiderio di voler imparare a sciare.

“Ok, io sono pronta, adesso che faccio?”

“Allora per prima cosa ti tiri su da quella posizione ridicola…”


Seguirono poche discese e numerose cadute, in cui il corpo di Alice sembrava attorcigliato in modo incomprensibile. Il Tigre non sapeva se ridere o arrabbiarsi, ma bisognava riconoscere che imparare a sciare a 35 anni non era proprio la cosa più semplice del mondo.


“No no io per di là non scendo”.

“Alice, è la stessa pendenza del campo rosso…”

“Ma lì ci sono gli alberi, e se ne becco uno?”

“Ti verrà un bernoccolo”.

“Prendilo tu!”

Alla fine, per una volta, l’aveva vinta il Tigre e, virando piano sulla neve fresca, le aveva mostrato cosa significasse respirare il bosco con gli sci ai piedi. Era come volare, planando leggeri sulle nuvole bianche. Il sole filtrava tra i rami dei pini e accarezzava la neve rendendola scintillante.

Alice si godette solo una parte di quello spettacolo privato, impegnata com’era a ricordarsi tutti i movimenti necessari alla sopravvivenza sugli sci.

Al termine del bosco, un’ora più tardi, crollò esausta sul pianoro.


“Per oggi basta” - disse il Tigre - “ma ricarica le energie che dobbiamo anche tornare su”.

“Magari dormo qui” - sospirò Alice, gettando la testa sulla neve e galleggiando sulla sua superficie.

“Sei stata brava sai, non è da tutti buttarsi così”.

“Grazie. Adesso mi dici cos’hai tatuato dappertutto?”

Alice ci provava spesso, ma fino a quel giorno la sua domanda ricorrente era stata ignorata del tutto. Stava già per cambiare argomento, quando il Tigre si tolse la giacca da sci e iniziò ad arrotolare le maniche della camicia. Sedette accanto ad Alice.

“Partiamo da qui. Non sono fatti tutti dalla stessa mano, i colori li ho fatti io, sono pigmenti naturali. Li vendevo ai tatuatori e loro mi ripagavano in tatuaggi. Questo è un fiume che parte dalla spalla e arriva fino al tallone. Ho un rinoceronte, una balena, un serpente, un cerbiatto, ognuno rappresenta un tratto animale distintivo che per me ha avuto un qualche valore…”

Il Tigre parlava ed Alice scorreva con lo sguardo i disegni sul suo corpo.

“Questi sono mantra - e indicò gli arabeschi neri che gli percorrevano le braccia muscolose - mi hanno aiutato a ritrovare la pace in un momento molto difficile della mia vita, qualche anno fa. Tuo padre me li ha insegnati”.

Alice posò un dito sulla pelle del Tigre, seguendo la traccia del tatuaggi.

A contatto con la mano fredda, il corpo caldo del Tigre sussultò.

“Ne ho molti, su tutto il corpo.”

“E il tuo preferito?”

“Non ne ho di preferiti, sono tutti importanti”.

“A me piace questo.” - Alice gli prese la mano tra le sue e avvicinò al viso la Tigre a colori, che ruggiva sul dorso.




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