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Capitolo 12 - Il dettaglio

Anche le Stelle bevono Birra

Liberamente tratto dall’esperienza di Giovanna Zangrandi.

In dolce memoria di Marta Gori.




Capitolo 12

Il dettaglio


Il cruccio dell’avvocato Zanzotto era sempre stato l’inglese. I corsi all’università che erano obbligatori in lingua li aveva dati almeno sei o sette volte l’uno, prima di passarli per esasperazione. Era inspiegabile come uno studente decisamente brillante in tutti i campi della giurisprudenza non riuscisse a spiaccicare una sola parola in inglese. Tanto era pessimo con le lingue straniere, tanto capace e abile nella gestione dei prestiti a fondo perduto per i nuovi imprenditori e nella partecipazione ai bandi europei: nel giro di un paio di mesi, Alice ottenne tutti i fondi necessari per avviare la costruzione del suo birrificio d’alta quota.


L’aria, al rifugio, era effervescente. Il Natale era scivolato via dalle dita prima che potessero accorgersene, con due metri di neve a coprire di assoluta magia il campo rosso.

La madre di Alice, Prue, aveva insistito fino all’ultimo perchè la figlia la raggiungesse a Leeds per le feste, o almeno per il capodanno, ma lei si era rifiutata: “ho un’azienda da avviare qui, mamma.”


Miki e Ralf avrebbero tranquillamente potuto governare il mondo, se solo avessero voluto. Spalavano neve alla velocità della luce e controllavano quotidianamente che ogni cosa andasse per il verso giusto. Il loro inglese, con Alice, era decisamente migliorato e, nonostante morissero dalla voglia di andare a letto, stavano accanto alla stube con Alice fino a tardi, a studiare i preventivi dei costruttori e dei diversi fornitori per bollitori e tini.


“Qui non funziona così, dovete scegliere quelli di qui, spezzerete l’equilibrio!”

Il Tigre, non appena aveva saputo che i due austriaci si sarebbero stabiliti con Alice, aveva deciso di trasferirsi anche lui nella stanzetta del primo piano. “Non posso lasciarti con quegli energumeni” - aveva borbottato, imbronciato.

Ogni mattina, scendeva sciando fino al campo di partenza dove aveva ripreso ad insegnare sci di fondo. Alice, Miki e Ralf, in attesa della primavera che avrebbe portato con sé il tepore e la possibilità di costruire, restavano invece chiusi in rifugio a sperimentare nuove ricette per la birra.

Su un’unica cosa non c’erano dubbi: l’acqua. L’acqua di montagna, che arrivava direttamente dalla fonte, era tutto moltiplicato per di più: più dolce, più limpida, più leggera, più dissetante. La base era perfetta.

Era il resto che mancava di gusto e inventiva.


La triste realtà era che Miki e Ralf, nonostante la loro passione per la birra, erano dei pessimi mastri birrai: mischiavano malti e luppoli senza nessuna fantasia, creando insignificanti e a volte anche terribili esperimenti di gusto con sentori di erba, resina di pino e cocco, uniti a casaccio.

Alice si sforzava di pensare che con il tempo sarebbero migliorati, ma più i giorni passavano, più si convinceva dell’estrema necessità di assumere un mastro birraio competente.


Una sera, mentre se ne stavano tutti e tre chinati sui malti tostati, Miki ebbe una specie di illuminazione e si mise tutto felice a urlare che aveva risolto la questione, la chiave era la mistura dei malti, e si mise tutto emozionato a scribacchiare percentuali su un blocco, rileggendole poi ad alta voce per convincersi di più ad ogni parola.

Il Tigre, seduto in un cantuccio, leggeva un libro fumando la pipa.

Ci provò, almeno per un po’, a non sentire gli sproloqui di Miki ma ad un certo punto sbottò: “Non potrà mai funzionare così, è questione di chimica.”

Il Tigre si intromise nel circolo degli aspiranti birrai, prese di mano la penna a Miki e iniziò a sbarrare i calcoli approssimativi dell’austriaco. Scriveva formule ed elementi con ordine, in grafia asciutta e leggera. Esitava su alcune lettere e numeri, allungando le stanghette in vortici e arabeschi che ricordavano i tatuaggi intravisti da Alice, quella sera in cui si era scottato.

“Potrà venire bene solo con questa proporzione, altrimenti il lievito non riuscirà a fare il suo dovere e il gusto risulterà troppo forte alla fine della fermentazione, quasi marcio”.

Il silenzio cadde nella stanza, Ralf aveva smesso di masticare con la bocca aperta tanto che un rivolo di saliva gli aveva rigato il mento.

“Da quando in qua sei diventato un mastro birraio?” gli chiese Alice.

“Sono un chimico, non un birraio. E no, non farò la birra per voi, non guardarmi così”.


Aveva superato i trenta da qualche anno, ma lo sguardo di Alice ancora colpiva ed affondava. L’aveva preso da sua madre. Il Tigre capitolò nel giro di un paio di giorni.

Iniziò il lavoro di malavoglia ma poi si appassionò, restando a volte fino all’alba ad annusare qualità di malto e a valutare tipologie di lieviti. I primi esperimenti di birra, alla fine di gennaio, furono un successo (anche secondo Miki e Ralf, che non erano mai stati così felici di fare la birra e non di berla).

Alice trovò il Tigre di martedì mattina tutto indaffarato con la tostatura: “ma tu non dovevi essere a sciare?” Lui sbuffò: “Zitta, devo concentrarmi, ho preso qualche giorno di pausa”.

In realtà, si era preso tutta la settimana di pausa, e insegnava sci solamente nei fine settimana, quando molti turisti risalivano la vallata alla ricerca di neve fresca.


Mentre il Tigre giocava al piccolo birraio, Alice imparava tutto quello che c’era da sapere sull’architettura di montagna, i pannelli fotovoltaici e le pompe di calore. Aveva chiesto il parere di diversi architetti della zona, per poi sceglierne uno proveniente da Torino. L’aveva convinta con la storia di un viaggio sull’Himalaya (“sa, ho imparato lì come si vive in montagna” - le aveva detto) ed Alice si era lasciata convincere da quella sapienza concreta, malleabile. Così, per diverse ore al giorno, stava al telefono con Pietro, l’architetto, cercando di piantare il suo sogno di azienda incontaminata, pulita e completamente sostenibile.


“Perchè ti dai tutto questo daffare?”

Miki e Ralf, da quando c'era il Tigre con Alice, si ritiravano quasi sempre molto presto nelle loro camere; Alice e il Tigre si fermavano fuori, sulla panchina, a guardare le stelle, nonostante il freddo. Quando la circolazione delle mani era così lenta da intorpidire gli arti del tutto, rientravano e continuavano l’osservazione dalla grande vetrata del rifugio.

Parlavano. Per ore, a volte, alternando inglese e italiano con la goffaggine di un’ape che volteggia da un fiore all’altro.

“Perchè voglio fare le cose per bene, visto che le sto facendo. Insomma, almeno voglio tentare. Questo sarà un birrificio di dettaglio, voglio dire, curato in tutti i dettagli.”

“Ma lo sai che della metà di questi dettagli te ne accorgerai sempre e solo tu, vero?”

“Può darsi. Ma voglio tentare comunque”.















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