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Capitolo 11 - Il chimico

Anche le Stelle bevono Birra

Liberamente tratto dall’esperienza di Giovanna Zangrandi.

In dolce memoria di Marta Gori.




Catarsi, dal greco κάϑαρσις. Significa purificazione.

Aristotele riteneva che, attraverso le storie, l’uomo potesse purificare l’anima dalle proprie colpe. La storia permette alle cose del mondo di sublimarsi, e di diventare cielo.


Oggi i racconti di Anche le Stelle bevono Birra spaccano il silenzio del dolore con la catarsi del Tigre. E con la sua, anche la mia e quella di tutti noi.


Capitolo 11

Il chimico


Credere in qualcosa la rende possibile.

Giorgio aveva voluto quella frase all’entrata della sua “cosa possibile”: la Chemical Tower Research. Per fondarla, quattro anni prima, aveva venduto la casa e l’auto regalati da suo padre e aveva investito in un capannone e in materiali da laboratorio. Scegliere di lasciare l’impresa e il settore di famiglia per studiare chimica farmaceutica era stato azzardato, ma vendere la casa era stato decisamente un affronto alla dinastia imprenditoriale dei Torre.

Il giorno dell’inaugurazione, arrivò dallo studio di suo padre un biglietto di congratulazioni scritto al pc, e non firmato. Giorgio pensò che si fosse trattato di una svista, e infatti il padre si presentò a metà serata per riprendere di sua mano il biglietto che quella sbadata della segretaria aveva scambiato per un invito qualsiasi. Invece era la rovina della sua famiglia.


Giorgio aveva scoperto la passione per la chimica al liceo.

Mentre i suoi compagni iniziavano a tatuarsi sotto i basculanti dei garage, lui mischiava pigmenti e creava i colori migliori da spingere sottopelle, vendendoli a tutti i ragazzi del quartiere e poi dell’intera città. Li faceva alla vecchia maniera, amalgamando polveri e mischiando gocce di estratti. Non aveva bisogno di accumulare altri soldi, la sua famiglia possedeva già una fortuna: così, si faceva pagare in tatuaggi. Un leone sul fianco, un orso bianco sulla coscia, una tigre sul dorso della mano: i colori di Giorgio avevano dato vita sul suo corpo ad una nuova fauna animale.


Poi era passato ai profumi, che creava appositamente per le ragazze con cui usciva: essenze floreali e dolciastre, frivole, perfettamente abbinate alla loro personalità.

E poi le droghe, i miracoli e i mondi paralleli che si potevano creare con erbe e sostanze sintetiche.

Avevano un piccolo giro, di cultori ed appassionati. Giorgio non lo frequentava direttamente, si limitava a produrre misture innovative nel suo piccolo laboratorio, nel seminterrato di casa dei suoi.

Una sera, Giorgio decise che voleva vedere che effetto facessero le sue creazioni così seguì Nico, il giovane che gli commissionava i trip, in un locale notturno.

Chi prendeva la sua roba non riusciva più a smettere di ballare, di saltare di qua e di là come un capretto assatanato, fino all’alba.

“Giorgio, e se creassimo un impero?” - gli aveva proposto Nico, osservando con occhi lucenti il miracolo della chimica creativa.

“Sì ma… a che prezzo?” - aveva risposto Giorgio, terrorizzato dall’incapacità di distinguere la realtà dalla finzione che prendeva tutti i clienti del giro.

Da quella sera si era fermato, con quella roba, prima che il baratro fosse troppo scivoloso da risalire.


Aveva iniziato e concluso l’università a tempo di record e quando aveva capito che un lavoro da chimico di laboratorio non gli sarebbe mai calzato a pennello, abbandonò ogni cosa e fondò la sua azienda.

Mirava da anni ad elaborare un nuovo prototipo di farmaco, che stimolasse la mente ad autocurare l’organismo. Doveva esserci un modo per usare davvero tutte le doti intellettive dell’essere umano. E lui voleva scoprirlo.

Era un progetto ambizioso, ma Giorgio ci aveva creduto, fin dall’inizio, con tutto se stesso. L’ambizione e le grandi doti da sciatore erano le uniche cose che aveva ereditato dai Torre, oltre all’immensa fortuna che lui aveva trasformato in sogno.

E di questo sogno, aveva allargato la base operativa, assumendo oltre cento dipendenti in tre anni. L’azienda era giovane, i dirigenti volavano alto come Giorgio, credevano fortemente nel progetto che, dicevano, “avrebbe per davvero cambiato il mondo”.


“Giorgio, tu credi davvero che i PJK siano efficaci?”

“Beh, dipende dal tipo di patologia ma sì, credo fermamente che possano dare un nuovo futuro alle persone sofferenti, purchè loro vogliano dare a se stessi una chance. Perchè me lo chiedi? Nuovi potenziali clienti?”

Ma prima che potesse ribattere, Francesco era già sparito, come se avesse già ottenuto le risposte che andava cercando.


Al culmine del successo insperato della linea PJK, l’applicazione dell’effetto placebo per la cura della depressione, uno dei più brillanti commerciali del team dirigenziale, Francesco Scheggia, prese tra le mani una manciata di pillole e si gettò dal terzo piano, schiantandosi come un acino d’uva nell’atrio dello stabilimento.


Ci furono molte grida, urla disperate e mani e piedi che si avvicinavano al corpo molle del dirigente. Ma non quelle di Giorgio. Giorgio era rimasto immobile, vedendo il suo amico andare in frantumi, vedendo se stesso andare in frantumi.


Si venne a sapere dopo pochi giorni che Francesco aveva scoperto da qualche mese di essere affetto da una grave malattia degenerativa, per cui nè una terapia tradizionale nè una sperimentale avrebbero potuto alcunchè. Aveva terminato due cicli completi di PJK, sottraendoli al laboratorio. Teneva un piccolo diario di bordo della cura nel cassetto della sua scrivania. Nell’ultima pagina, diceva che i farmaci con lui non funzionavano, che era tutta una menzogna e che non avrebbe permesso alla malattia di mangiarlo vivo in un boccone.


Il sogno di Giorgio finì quel giorno.

Voleva cambiare il mondo, ma il mondo gli aveva dato il benservito.

Si chiuse nel suo appartamento e non ne uscì per sessantasette giorni.

Il volto di Francesco lo tormentava di giorno e di notte, impedendogli di dormire, di mangiare, a tratti persino di respirare.

Se solo avesse parlato, dannazione.

Se gli avesse spiegato.

Per sfinimento, aveva gettato due cose in uno zaino ed era partito per l’aeroporto, senza lasciare detto a nessuno dove stesse andando.

Aveva preso il primo volo per il Nepal e lì si era lasciato prendere da Kathmandu.

Aveva gettato in un cestino della dogana il cellulare e i documenti, tenendo qualche banconota nelle tasche della camicia.

Non era più degno di avere un nome, né di avere una vita.


“Kamal, vieni subito alla stanza 4. Abbiamo qui un uomo europeo che devi portare da Hari”. La voce dell’infermiera del King Mahindra Trust Hospital svegliò Giorgio dal torpore e dalla fame. Aveva perso le scarpe, i piedi bruciavano sotto la coperta spessa.

“Non si preoccupi, Kamal la porterà in un ospedale che serve quando il nostro non può fare più niente”.


- Da La Repubblica del 23\11\2015 -

Il processo per omicidio colposo che ha visto coinvolto Giorgio Torre, titolare della Chemical Tower Research di Monza, si è concluso oggi con la piena assoluzione del suo fondatore ed amministratore delegato. Nonostante la decisione del giudice, l’azienda è già stata chiusa in modo definitivo, avviando già nelle scorse settimane il processo di vendita dei macchinari.

Giorgio Torre, classe 1978, rampollo dell’omonima dinastia industriale, aveva scelto di abbandonare l’impero di famiglia per inseguire un sogno del tutto nuovo. La specializzazione in Chimica farmaceutica gli aveva dato modo di perfezionare un nuovo prodotto da lanciare sul mercato, fondato sulla teoria scientifica dell’effetto placebo.

“La mente può cambiare il corso degli eventi” - affermava Torre il giorno dell’inaugurazione della Chemical Tower Research, che si avviava a divenire in pochi anni uno dei poli della ricerca e sviluppo e della produzione di un nuovo orizzonte farmacologico.

La sfortunata svolta nel 2014, con il suicidio di F.M., dipendente ed accanito sostenitore di uno dei prodotti di punta della Chemical Tower Research. La vittima era affetta da una rara patologia degenerativa, incurabile anche con una terapia farmacologica tradizionale.













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